PANCALLI: LA TRASFORMAZIONE DELLA SOFFERENZA

di Carlo Nesti,

“Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome… Perciò anche quelli che soffrono secondo il volere di Dio, si mettano nelle mani del loro Creatore fedele e continuino a fare il bene” (1Pt 4,16). Sono parole tratte, nel Nuovo Testamento, dalla prima Lettera di Pietro.

Per noi, essere umani, quanto è difficile accettare la sofferenza, e pensare di poterla trasformare in qualcosa di positivo! La nostra vocazione è la felicità, e vorremmo ottenerla subito, senza aspettare. Ma non è così, perché è il traguardo, al quale siamo destinati, solo dopo la vita terrena.

Eppure, non ci si deve, comunque, rassegnare alla sofferenza, nella migliore delle ipotesi, come fase di transizione verso la felicità del Paradiso. Sono innumerevoli i casi, e lo possono testimoniare gli stessi diretti interessati, in cui la sofferenza è proprio una via per trovare se stessi.

Luca Pancalli

Nello sport, uno degli esempi più significativi è costituito da Luca Pancalli, presidente del Comitato Paralimpico. Nel libro di Giacomo Crosa “Lo specchio di Luca”, presentato recentemente da Claudio Arrigoni su “La Gazzetta dello Sport”, emerge questo percorso, che può essere, per tanti, incomprensibile.

Immaginate la vita di un talento del pentathlon moderno, che, a 17 anni, cade da cavallo, e resta paralizzato. Non è solo il cavallo, ma il mondo intero a piombarti addosso! Eppure, lo sventurato reagisce, vince 8 medaglie d’oro in 4 Paralimpiadi di nuoto, e diventa un grande dirigente dello sport italiano.

Oggi ha 48 anni, e dice: “Nel caso Dio mi chiedesse se voglio tornare indietro, non cadere da quel cavallo, e vivere diversamente, risponderei: no, grazie mio Signore, ma adesso mi tengo la mia vita. Ho avuto tante sofferenze e tanti doni. È giusto tenermi la vita, che tu hai disegnato per me”.

La verità è che certi progressi legati alla nostra interiorità, che formano carattere e conoscenza, avvengono, esclusivamente, soffrendo. Ed è la Fede, unicamente, a dare un senso prima di utilità esistenziale, e poi di retribuzione extra-terrena alla sofferenza: il messaggio delle Beatitudini di Gesù.

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