Agassi: quando lo sport è una tortura

Martedì 13 agosto 2013, Papa Francesco incontrò le delegazioni delle Nazionali di calcio di Argentina e Italia.

Disse: “La dimensione professionale dello sport non deve mai lasciare da parte la vocazione iniziale di uno sportivo o di una squadra: essere amateur, cioè dilettante”

In questi ultimi tempi, un grande ex tennista statunitense, Andre Agassi, ha avuto successo con un libro autobiografico, scritto con intensità e coraggio: “Open”.

Ha raccontato un’infanzia tremenda, vissuta agli ordini di un padre deciso a trasformarlo in un campione, contro i desideri di Andre, orientato verso altri sport, e un’altra vita. Agassi ci riesce, e diventa lui stesso una “pallina” da tennis, che rimbalza fra il legame con la disciplina, e la smania di ribellione.

Lo sport business

Lo sport business, obbligando gli atleti a ore e ore di allenamento, rende insopportabili, a volte, proprio attività bellissime, ma ripetitive, come atletica leggera, nuoto e tennis. In qualsiasi espressione, fa bene la misura, e fa male l’eccesso.

E’ una ragione in più per chiarire ai genitori che lo sport non è prima una fonte di guadagno, e poi un’attività ricreativa, utile per la salute. Anzi… Nel momento in cui il dovere di vincere sempre prende il sopravvento, i valori-chiave dello sport di base, quello educativo, vengono ribaltati.

Lo sport deve insegnare a impegnarsi e a migliorarsi. Vincere è un’altra cosa. Conta vincere davanti alla propria coscienza, e davanti a Dio, dando tutto. Vincere davanti agli altri uomini non può essere la priorità di un cristiano.

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