Darsi un codice deontologico
Di Roberto Alessio (del 23/02/2010)
Nella consapevolezza che un certo mondo sportivo non ci deve appartenere, considerato che l’allenatore è pur sempre un uomo e come tale fallibile, anche tra mille difficoltà quotidiane e non solo sportive, adoperiamoci sempre affinché gli adulti possano fornire sempre il buon esempio ai giovani, provando ad attuare i seguenti punti.
Utopia? Forse, ma per lo meno proviamoci, anche a costo di perdere qualche partita sul campo: la vera vittoria consiste nel formare la coscienza e la conoscenza, propria ed altrui, soprattutto nel settore giovanile.
- Trasmettere ai nostri giocatori “insegnamenti” quali il rispetto, la sportività, lo spirito di identità e di appartenenza, valori cioè che vanno ben oltre il risultato di una competizione o campionato: questi valori non si dovranno mai sacrificare per aumentare il prestigio personale, poiché l’eventuale vittoria non è altro che il risultato di un lungo processo composto di componenti e variabili diverse.
- Subordinare l’importanza del risultato alla salute ed all’integrità fisica dei giocatori: atleti in precarie condizioni, adolescenti che non si divertono agli allenamenti od in partita o vivono lo sport con angoscia e pressioni devono essere un pericoloso campanello d’allarme.
- Tenere un comportamento improntato alla correttezza verso le numerose componenti del mondo del calcio: l’allenatore è, infatti, solo l’anello di una catena complessa che necessita della collaborazione attiva e partecipe di tutte le altre (atleti, dirigenti, genitori, direttori di gara, mass media).
- Rispettare l’atleta nelle diverse realtà in cui si estrinseca la sua personalità e che possono, a volte, influire quantitativamente e qualitativamente sulla prestazione sportiva: così, ad esempio, il gioco del calcio non deve mai impedire all’allievo di ottenere buoni risultati a scuola o coltivare, nel limite del possibile e senza essere troppo dispersivi, altri interessi personali.
- Essere partecipe, insieme alle ulteriori componenti che ruotano intorno al ragazzo (famiglia, scuola, religione), sempre nel rispetto dei reciproci ruoli, all’educazione ed alla crescita dell’individuo: segnaliamo dunque gli eventuali disagi, prendiamo atto delle difficoltà incontrate dall’allievo valutando la sua prestazione anche alla luce di queste ultime, concordiamo soluzioni positive attraverso un sereno confronto con la famiglia.
- Rispettare, difendere ed insegnare ai propri allievi le regole del gioco del calcio, con particolare attenzione nell’evitare di ottenere vantaggi attraverso l’insegnamento consapevole di comportamenti antisportivi: insegniamo, prima di tutto all’uomo ad “essere uomo”, solo successivamente a “fare il calciatore”.
- Evitare diagnosi “personali” sugli atleti infortunati demandandole a personale medico qualificato, escludendo accuratamente sia i consigli “da apprendista stregone”, sia l’effettuazione diretta di terapie od addirittura la prescrizione di medicinali di qualunque tipo, qualora non davvero competenti od abilitati in tal senso: come non biasimare oggi il mister di un tempo che, a seguito della distorsione ad una caviglia di un calciatore durante un’azione di gioco, esclamava a gran voce da bordo campo “batti forte il piede a terra!”
- Responsabilizzare in primo luogo se stessi e, attraverso il proprio irreprensibile comportamento, anche i propri giocatori, prendendo adeguatamente le distanze da tutti gli atteggiamenti antisportivi e violenti.
- Consentire che il direttore di gara sia messo nelle condizioni di svolgere la propria opera in modo sereno: in tal caso, teniamo per primi un atteggiamento rispettoso, evitando di incentivare comportamenti negativi dei propri giocatori, sfruttando ogni occasione possibile per ricordare loro che “senza l’arbitro non potrebbe essere disputata la partita”.
- Sforzarsi di dare sempre il massimo ai propri giocatori: evitiamo atteggiamenti ridicoli e poco professionali, come nel caso di dell’allenatore che, in polemica per lo scarso rendimento della squadra, decise volutamente di attuare uno “sciopero bianco”, astenendosi dal fornire dalla panchina, durante una gara di campionato, ogni forma di incitamento o suggerimento ai propri giocatori.
- Mantenere, per quanto ci è possibile, sempre viva la curiosità verso la “materia” calcio: attraverso una costante ed accurata opera di aggiornamento, saremo in grado di recare benefici soprattutto ai nostri atleti oltre che a noi stessi.
- Non fuggire dal confronto dei colleghi: in tal senso, intendiamo non solo un confronto attivo ma anche semplicemente un’attenta osservazione del modo di operare di un altro allenatore.
- Prestare cura al proprio aspetto e mantenersi in un’accettabile condizione fisica: l’immagine che diamo di noi, sarà presa ad esempio, specie da parte degli atleti più piccoli ai quali non potremo chiedere di essere nel modo che, per primi, andremo a disattendere.
- Ammettere l’eventuale errore commesso poiché l’ammissione dimostrerà personalità, umiltà ed anche saggezza.
- Ascoltare i suggerimenti delle persone che reputiamo competenti, anche se, alla fine, saremo solamente noi a prendere la decisione definitiva: di questa e del nostro operato, infatti, saremo chiamati a rispondere.
- Rispettare sempre il lavoro altrui, anche se non condiviso appieno, specie nei confronti di coloro che lavorano nelle squadre e nelle categorie “minori” o che ci hanno preceduto: anche grazie alla loro fatica il nostro lavoro potrà trarre importanti benefici.
- Dimostrare fedeltà verso la propria professione e categoria, evitando vittimismo e sterili polemiche. Se aneliamo fortemente al cambiamento, cerchiamo di essere i primi a cambiare: “Se si vuole, si può!”
- Mantenere una certa dose di riservatezza su quanto viene a conoscenza e relativo ai propri atleti, alle compagini allenate: il silenzio è d’oro e la discrezione, spesso, non ha davvero prezzo.
- Conservare la propria indipendenza lavorando liberi da condizionamenti e pressioni societarie: a meno che non ci si accordi per essere dei “meri gestori” durante la settimana del team “messo in campo” di domenica dal presidente – situazione comunque discutibile e sminuente la professionalità della categoria -, nella piena facoltà e capacità dei nostri poteri e mansioni, prendiamo serenamente e liberamente le nostre decisioni.
- Rifiutare incarichi nella consapevolezza di non essere in grado di svolgerli: il danno, per gli allievi, oltre ad essere ben presto visibile, potrebbe rivelarsi colossale.
- Evitare, a maggior ragione, di assumere incarichi per i quali non si abbia titolo, di addentrarsi in situazioni di incompatibilità che possano metterci in difficoltà nelle scelte da adottare, specie a salvaguardia dell’interesse altrui: è il caso di chi si cimenta nel compito di preparatore atletico o dei portieri senza averne specifica preparazione od un “background” sportivo adeguato, nel doppio ruolo di responsabile del settore giovanile ed allenatore di una delle squadre oppure in veste di allenatore e dirigente della società e infine, fattispecie sanzionata dai regolamenti sportivi, nel compito di allenatore presso due diversi sodalizi sportivi.
- Mantenere, nei rapporti con la stampa e con gli altri colleghi, l’equilibrio necessario, soprattutto al fine di evitare risse verbali e persino fisiche, tipiche da reality show di pessimo gusto.
Tratto da “Nella valigia dell’allenatore” Ed. Calzetti & Mariucci (2^ edizione)