Quando il “fer-plei” diventa “fer-a-boti”
14-05-2010 (fonte: www.sportparma.com)
Paolo Mulazzi
Quando si dice che gli atleti dovrebbero essere orfani. E quando si parla di Italia Paese civile. Quando poi c’è di mezzo il calcio, il riferimento ai genitori e alla civiltà si somma. Meno male che il torneo era stato intitolato Fair Play perché se si chiamava Play solamente chissà cosa succedeva. A Fognano i genitori si sono insultati, prima hanno insultato l’arbitro che altri non era che un dirigente di una delle due squadre, poi menati; era una partita di Esordienti figuriamoci quando quei ragazzi diventeranno Allievi: arriveremo alla gambizzazione. Genitori che “caricano” a tal punto i propri figli, perché magari sfogano tutte le voglie represse di quando erano giovani e non sono riusciti “ad arrivare”, da essere controproducenti o addirittura a minarne la sfera psichica. Ma al di là dell’inciso discorso pedagogico, è quello sociologico che non smette, e non smetterà mai forse, di far discutere.
Tutti, quando si era più giovani e si andava allo stadio, ci si lasciava andare ad improperi nei confronti di arbitro ed avversari. Se un padre non avesse mai proferito parola forse ci si sarebbe adeguati; se un padre si fosse menato con qualcuno forse saremmo arrivati a farlo anche noi. Forse il praticare e frequentare altri sport potrebbe incidere in qualche modo. Il calcio, si sa, è l’apoteosi della mancanza di cultura sportiva: non a caso è uno sport nato dalla strada e come tale ne assume anche le regole. Ma anche altri sport più nobili non ne sono esenti. Anche lo stesso rugby, seppur in misura molto ma molto minore. L’arbitro purtroppo ce l’ha nel DNA il fatto di essere bersaglio prediletto e dunque capita di sentire qualche dirigente, colui che dovrebbe dare l’esempio, prendere a male parole il malcapitato di turno. Capita anche, è successo a Brescia, di rischiare di vedere due persone sugli spalti arrivare alle mani. Quando si dice che uno dei valori del rugby è il rispetto … anche se non si scende a livelli calcistici. Ma sono rarità e si spera che anche quel poco venga limato.
In un Paese che non cambia mai, in cui la deriva etica è ormai consolidata ed in cui programmi come “Uomini e Donne” ci accompagnano quotidianamente è ancora possibile nutrire una piccola speranza di acculturamento o siamo nel campo della mera utopia? Volere è potere: il genitore sta al ragazzo come la società, sportiva in questo caso, sta al genitore. Quanti, e quali, genitori sarebbero disposti a frequentare mini corsi di “genitorialità e cultura sportiva”?