Lo sport tra alienazione e fraternità
Lo sport è una alienazione o è un mezzo di fraternità? La risposta al quesito implica una riflessione teorica. Se consideriamo lo sport come una alienazione, ne esaltiamo gli aspetti di negazione dell’impegno nella società civile e nel contesto politico, nel senso che chi si dedica ad una attività sportiva non trova poi il tempo per fare volontariato, per studiare, per dedicarsi all’associazionismo politico e sindacale, per volgere il proprio pensiero alla dimensione spirituale dell’esistere. In questo caso, lo sport distoglie dall’impegno nel sociale. Non c’è nulla di più rilassante che sprofondarsi in una attività sportiva dopo il lavoro! Lo stress cade, il fisico si ritempra, la mente si distende. Queste sensazioni sono facilmente sperimentabili da chiunque. Dopo il lavoro, lo svago attraverso lo sport che aliena dalle responsabilità dei ruoli e degli status decretati ed imposti dalla società alla persona e sulla persona diviene una risorsa importante, addirittura programmata scientificamente.
Oltre a questa opzione, ne possiamo prefigurare un’altra che possiamo chiamare della fraternità. Quest’ultima è diametralmente opposta all’alienazione. Qui lo sport diviene il luogo privilegiato del saper stare insieme, del vivere gli uni accanto agli altri, facendo valere l’esercizio fisico per muovere la mente all’incontro e non allo scontro tra esseri umani.
Lo sport contemporaneo
Nella versione dell’alienazione, la persona è un oggetto dello sport; nella versione della fraternità, la persona è il soggetto attivo e pensante dello sport.
In una tesi dal titolo Alcune considerazioni intorno allo sport contemporaneo, scritta quando ero una studentessa dell’Università di Roma La Sapienza nel 1973, ebbi modo di notare come “Il travisamento hegeliano della pretesa identità tra realtà e pensiero costantemente si ripropone, di conseguenza c’è bisogno di una nuova critica che demistifichi questa volta, invece del diritto, lo sport, e mostri come esso crei una ideologia tutt’altro che razionale”. La critica di quel periodo nasceva dallo stato di forte politicizzazione che portava a far emergere le contraddizioni di un sistema inefficiente, pronto a nascondere i propri mali, dietro la facciata del successo nazionale sportivo. Le Olimpiadi di Monaco erano dello “spreco e dell’inganno” scriveva U. Prokop (Firenze, 1972) e tali da distogliere le coscienze dai veri problemi nazionali: la disoccupazione, la povertà, l’analfabetismo, la deficienza sanitaria, l’assenza di mobilità sociale.
Sin dalla prima manifestazione sportiva internazionale lo scopo fu chiaro: lo sport doveva essere una riproduzione circoscritta della società borghese competitiva e concorrenziale. Le istituzioni ne sarebbero risultate confermate e avrebbero ricevuto nuova enfasi all’insegna del trionfo nazionale. In altre parole, l’efficienza e l’agonismo avrebbero portato alla legittimazione del sistema sociale e di quello politico, facendo meglio interiorizzare le disfunzioni, i malesseri e le contraddizioni della società.
Entro questa critica sull’alienazione, favorita dallo sport, i sentimenti di serenità e di pace che gli stessi giochi olimpici ispiravano nel passato sembrano essere stati completamente superati.
D’altra parte, quando assistiamo alla violenza negli stadi, alla aggressività degli appartenenti ad una squadra contro gli appartenenti alla squadra avversaria, alla concentrazione quasi sovrumana anche di bambini e bambine, allenati/e per trionfare, e possibilmente vincere, alle olimpiadi, non possiamo che riprendere la categoria interpretativa dell’alienazione.
Tuttavia, l’educazione ci aiuta a pensare in modo vasto e secondo possibilità mai concluse. Il pensiero riprende la sua strada e, come in una rivincita inaspettata, riafferma la razionalità dell’impegno sano e salutare, possibile anche nello sport.
Se nell’attività sportiva vi è uno spiraglio di spiritualità, allora sarà possibile parlare di amicizia e fraternità anche in un contesto che spesso si esalta come altamente competitivo e deformante i migliori sentimenti umani. L’unità psico-fisica che caratterizza la persona umana è la bilancia che orienta i comportamenti sociali. La psiche non può dimenticare il corpo e quest’ultimo non può annullare la psiche. Sono un tutt’uno, si appartengono come la luce e l’oscurità, come il sole e la luna, come il cielo e la terra.
A Sparta ed ad Atene lo sport faceva parte del curricolo formativo del bambino. Sport, musica e poesia costituivano la triade dell’istruzione collettiva dei giovani nobili ateniesi. L’ideale dominante era l’armonia espressa nelle discipline pedagogiche della ginnastica e della musica. Sia Platone che Aristotele consideravano gli esercizi di ginnastica importanti, tali tuttavia da non dovere sacrificare il corpo del giovane per renderlo un atleta perfetto.
Per i Romani lo sport era spettacolo, anche violento, necessario a dimostrare il romano di forza e destrezza. Con il Cristianesimo si ha la vera rivoluzione, in favore della persona umana. Si condannano la violenza e l’agonismo nello sport, fino al decreto di Teodosio (393 d. C.) che abolisce i giochi olimpici.
Nel Medioevo il cavaliere e nel Rinascimento l’intellettuale rilanciano la funzione morale dello sport invitando ad usare le abilità fisiche a fin di bene e nella lotta contro il male.
Nei secoli successivi il gioco e lo sport non sono stati più abbandonati come mezzi di formazione e di educazione morale di bambini e giovani.
Di qui la radice storica e culturale della fraternità nello sport. Una fraternità da costruire, da riscoprire nell’aiuto reciproco, nella solidarietà, nella appartenenza ad una squadra ad un gruppo con cui si sta bene insieme e con cui si raggiungono momenti belli di benessere ed armonia.
A scuola fare attività sportiva vuole appunto dire questo: raggiungere nel divertimento una sintonia con il compagno, con la compagna che talvolta non si trova nello studio. Certamente, il significato di fraternità nello sport non è sempre spontaneo. Né si può escludere che lo sport divenga anche a scuola il mezzo per distogliere l’attenzione da problemi anche gravi, come il bullismo. La presenza dell’insegnante è sempre necessaria, non per punire e sanzionare, quanto piuttosto per orientare il bambino al bene e per riorientare l’adolescente al meglio. Se una avvisaglia di bullismo può nascere nelle occasioni di sport, è auspicabile che da quelle stesse occasioni nasca, anche ed invece, un messaggio di fraternità come vicinanza e solidarietà all’altro.
Il cammino verso il bene non è mai stato facile, e ciò che ci distoglie dalla meta è la società con le sue insanabili contraddizioni che siamo certamente in grado non di legittimare ma di superare. Il grande passo avanti che abbiamo fatto, dai tempi della critica all’opulenza e all’inganno, è proprio quello della chiarezza dell’analisi che ci fa percepire immediatamente nella fraternità il superamento dell’alienazione e la ricomposizione dell’armonia di corpo e spirito.
di Sandra Chistolini