La pratica sportiva e la formazione morale

Nel contesto del mondo sportivo contemporaneo, aldilà degli episodi e dei dibattiti giuridici, pensiamo sia utile soffermarsi su alcuni aspetti etici e su alcuni problemi morali di ordine generale.

Iniziamo rifacendoci alla sapienza degli antichi greci, di quella terra ove lo sport ha avuto una consacrazione nei giochi olimpici, a quella Grecia che ha celebrato la competizione sportiva nell’arte, nella letteratura ed ha interessato pure la riflessione filosofica. Incominciamo, quindi, con Platone.

Non mi risulta che un corpo in buona salute possa rendere l’anima buona in grazia della propria virtù; viceversa un’anima buona, per la sua stessa virtù, può perfezionare il corpo in misura straordinaria. E tu che dici? (Repubblica, III, 403). Fin qui Platone. Quindi risulterebbe che la salute dell’anima sia una terapia per rendere sano ed armonioso il corpo. L’espressione platonica è epiméleia la “cura dell’anima”, la “preoccupazione per l’anima”. Già nell’antica Grecia si intuiva l’interconnessione tra l’anima e il corpo e si auspicava una medicina globale in cui inquadrare anche la salute dei singoli organi.

La cura dell’anima comportava la coscienza di sé e la padronanza di se stessi, equilibrio e armonia tra le parti dell’anima e, quindi, tra i vari sentimenti, come pure tra il pensare e l’agire. La salute, quindi, a partire dall’anima, l’espressione di sé in una visione unitaria ed equilibrata.

Lo sport, nel contesto della spiritualità greca, concorre all’espressione unitaria di sé, in uno spazio e in un tempo ideali, dominio dell’euritmia: armonia di forme, pace di linee, ginnastica e musica.

Lo sport luogo del riconoscimento di sé

L’esercizio dello sport, visto nell’accennata globalità dell’esperienza personale, è anche il luogo del riconoscimento di sé. La parola “riconoscimento” è qui usata in un senso che ritroviamo, tra gli altri, in Hegel. Detto in parole semplici, è il prendere coscienza di se stessi nel momento della prova, nel confronto con la realtà, nell’avvertimento delle proprie possibilità e dei propri limiti. Del confronto con gli altri, e quindi dell’aspetto agonistico dello sport, diremo tra breve, ora ci preme sottolineare come lo sport sia ricco di valori morali, perché introduce alla consapevolezza di possibilità e di limiti, ossia è principio di realtà. Non è la sola attività che dia luogo a questo principio, ma ne è una delle più significative, in quanto l’uomo misura se stesso in azione, nella dinamica dello sforzo fisico, liberante ed insieme affaticante. Il confronto con gli altri contribuisce a questa presa di coscienza anche indipendentemente dal confronto agonistico, in funzione conoscitiva (la conoscenza di sé) più che pratica (il superamento dell’altro, o il venir superato).

Il riconoscimento, nel senso descritto, è, quindi, prevalentemente conoscenza, diventa fonte di valore morale quando produce l’accettazione di sé. Quel principio di realtà, cui si accennava, diventa allora principio morale, poiché la costruzione della propria personalità morale parte da questo riconoscimento – accettazione su cui si misureranno possibilità di modifica e ricerca di compensazioni riequilibranti.

L’esercizio dello sport componente di formazione

Sotto questo profilo l’esercizio dello sport diventa componente della formazione, rientra nella paideia e non solo quella esercitata nel mondo ellenico antico. La paideia, l’ideale educativo, non è naturalmente monopolio dello sport, ma nel contrasto paidetico lo sport porta la nota della fisicità attiva, della dinamica soggetta a valutazione oggettiva, a misurazione e confronto.

Lo sport agonistico: tra devianza e spiritualità

Lo sport è pure agonismo, conflitto, ed è qui che si aprono anche gli scottanti temi della tentazione all’inganno (il doping) o al cedimento alla violenza in una varietà di forme.

L’agonismo non è comunque privo di valori morali, anzi etici (dato il carattere pubblico che il confronto agonistico assume). L’essere in gara, nella dinamica del confronto, richiede l’esercizio di alcune virtù: la gratuità in cui dovrebbe svolgersi il confronto, ossia il generoso distacco dall’affermazione pura e semplice e il riconoscimento degli altri, oltre che di sé. Vi può persino essere una spiritualità dell’agonismo, un’ascesi nella gara. Sappiamo bene che questo può essere un ideale utopico, un’eccezione, una meta lontana, una perfezione difficilmente proponibile e praticabile. L’agonismo, infatti, è lotta, anche lotta, e in ciò costituisce un aspetto del suo stesso fascino; è un’efficace metafora della vita, una proiezione di essa in condizioni predisposte e controllate di confronto. Per questo l’etica dello sport non può risolversi in un’etica del sentimento, una morale delle buone inclinazioni, ma deve fondarsi sul solido terreno dei principi, a partire dal fondamentale riconoscimento pratico della dignità umana, in sé e negli altri.

Sul tema del rispetto della dignità possiamo ricorrere al noto imperativo kantiano che impone di rispettare in sé come negli altri, la dignità della persona umana. La quale è un fine e non un mezzo, non ha prezzo ma dignità. Non è quindi oggetto di scambio.

Il rispetto è il limite etico della lotta. La gara sportiva non è certamente una guerra, ma una qualche analogia può tuttavia essere colta per il carattere conflittuale che certamente genera. Ebbene, anche in guerra vi sono convenzioni internazionali che, pur accettando il dato della guerra, pongono dei limiti, cercano di contenere la cruda, tragica realtà. Pure a proposito dell’antagonismo sportivo vi è uno spazio per un più ampio lavoro giuridico da portare innanzi perfezionando ciò che è già acquisito, completandolo, estendendo la ricerca di norme e della loro interpretazione. Il compito principale, tuttavia, non è di carattere giuridico, è soprattutto morale e quindi educativo.

Conclusione

Avviamo a conclusione il nostro discorso ritornando alle prime considerazioni di ordine paidetico, formativo e sottolineando la componente morale fortemente connessa con l’esercizio fisico.

Avevamo iniziato citando Platone, terminiamo citando sant’Agostino. Nel IX libro delle Confessioni Agostino, descrivendo il grande dolore che lo aveva colpito per la morte della madre ad Ostia, mentre stavano per imbarcarsi e tornare in patria, dice di aver tentato di trovare sollievo in una nuotata: “poiché avevo sentito che ai bagni era stato dato questo nome (in greco baleanon) in quanto liberano lo spirito dall’angoscia. Ebbene – soggiunge Agostino – dopo il bagno stavo come prima; il mio corpo non trasudò l’amarezza dello sconforto” (Confessioni, IX, 32).

La filologia ricordata da Agostino del termine “bagno” è piuttosto controversa; la sua considerazione comunque può convergere con quella di Platone, poiché in entrambi, nei passi citati, l’equilibrio morale, la serenità della coscienza, hanno una benefica influenza sul corpo e non viceversa. I buoni pensieri distendono le membra e le rasserenano.

Rimane il fatto che il livello morale, etico e spirituale è in rapporto costante con la condizione fisica e che l’etica, in qualche modo, è anche una disciplina sportiva e viceversa che lo sport può divenire anche una disciplina morale.

di Armando Rigobello
tratto da www.conoscereperessere.it

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