Genitori tifosi e segnali positivi
Riprendiamo un tema molto caro al CNOS Sport, quello del rapporto tra genitori tifosi e figli sportivi. A quanto pare è un argomento su cui si sta sviluppando una certa sensibilità diffusa se, dopo l’articolo del 27 aprile su i “genitori ultrà” di Jesolo, il Corriere della Sera dedica nuovamente spazio al problema.
La rubrica “La 27esima ora” del Corriere.it, infatti, riporta il 23 maggio un articolo di Paola Di Caro dal titolo “I figli, lo sport e noi genitori ultras”
“Mamme che disquisiscono con pazienti mister dai capelli grigi sul perchè il proprio pargolo non è stato schierato sulla fascia sinistra ma nell’oscuro ruolo di centrale difensivo. Padri che cronometrano di nascosto i 25 metri delfino dell’erede perchè dell’orologio appeso in piscina non si fidano. Genitori che nottetempo studiano su Internet il regolamento sui punteggi da attribuire ad una trave perfettamente eseguita dalle loro mini ginnaste”. Tutte scene che chi ha un minimo di esperienza sui campetti sportivi giovanili ha visto molte volte.
Il problema, lo abbiamo già detto in occasione dell’articolo di aprile, non è una novità, esiste e va affrontato con i giusti strumenti. In quella circostanza si faceva riferimento a una sola possibilità: l’approccio educativo. Scriveva infatti don Claudio Belfiore: “Di fronte a tali problemi bisogna assumere un approccio educativo, che cerca e guarda al possibile cambiamento”.
La cosa più interessante dell’articolo de “La 27esima ora” è forse proprio questo sguardo di ricerca al cambiamento. Paola Di Caro infatti conclude invitando i lettori-genitori a inviare “suggerimenti, racconti, testimonianze su come sopravvivere allo sport dei propri figli senza far loro (nè farsi) del male… E le risposte sono arrivate.
Un genitore suggerisce una pausa “culturale” durante gli allenamenti dei figli: “Quando, due volte a settimana mi trovo sugli spalti del palazzetto a guardare mia figlia che fa le capriole o saltella sulla trave ho un compagno, un libro. Questo è il consiglio che mi sento di dare ai gruppetti di genitori e nonni (si ci sono anche loro) che rosicano per le loro pupille se la verticale non è perfetta o il volteggio non è abbastanza aperto.”.
Molti invitano ad avere fiducia negli allenatori: “Come sopravvivere? Lasciate i figli in pace e fidatevi degli allenatori. Di solito sono persone oneste, preparate e, se permettete, ne sanno più dei genitori. Un bambino non ha bisogno di un avvocato difensore che gli spiani la strada o gli elimini i problemi. Naturalmente é giusto vigilare, ma, per favore, non metteteci il becco. Non fate il bene dei vostri pargoli. Ve lo dice un allenatore di calcio diplomato, istruttore di fitness“.
Ma soprattutto ci sentiamo di sottolineare e appoggiare completamente le parole di chi invita a rimettere al centro dello sport dei figli, specialmente di quelli molto piccoli, l’educazione e il gioco:“L’errore è sempre lo stesso confondere sport con gioco. … Sostenete e non opprimete. Giocate con e non contro. La vera soddisfazione è migliorarsi se poi si è anche dei campioni tanto meglio”.
E ancora: “Ho un bambino di 5 anni che sta partecipando ad una “scuola calcio” per asilo. In realtà lo scopo principale è farli giocare e insegnargli a stare a certe regole e in gruppo”.
E infine: “Ho tre figli. Il più piccolo ha scelto all’età di 4 anni (!) di giocare a tennis. Adesso ha 7 anni e continua il suo sport con tranquillità. Impara il rispetto per l’avversario, il silenzio in campo, le buone maniere. I genitori non sono graditi a bordo campo”
Ci sembra di cogliere quindi segnali positivi, almeno di una condivisa consapevolezza da parte degli stessi genitori, sulla strada verso il cambiamento di cui parlavamo già ad aprile. Cambiamento che, per essere raggiunto, dovrà passare necessariamente attraverso un impegno e progetto di formazione. Non solo dei ragazzi, ma anche di allenatori, dirigenti, educatori e, soprattutto, genitori tifosi!