Essere cristiani nel mondo sportivo

Mons. Carlo Mazza
Nell’aprile 2006 era direttore Ufficio Nazionale CEI per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport

Il “dirigente sportivo” è, a titolo pieno, una figura sociale, pubblica, responsabile. Come tale si inserisce adeguatamente nel ruolo di mediatore tra diverse istanze ed esigenze non solo a livello propriamente societario-associazionistico sportivo, ma anche attraverso una funzione rilevante nello scenario della comunità ecclesiale e della società civile.

Questa posizione lo colloca nel mezzo del contesto sociale, culturale e religioso in cui interagisce e dove opera con responsabilità riconosciuta, investendo le sue qualità etiche, tecniche, politiche, con prudenza e coraggio, con capacità interpretativa delle tendenze e delle condizioni di vita della gente.

Conseguentemente ai dirigenti di società sportive sono richieste non solo una provata esperienza personale ma nuove conoscenze e nuove competenze. Nell’ambito dello sport infatti stanno maturando sorprendenti bisogni di partecipazione, inedite modalità di fruizione, desiderio di affermazione dei soggetti, tutti aspetti che investono larghi strati della popolazione. Di pari passo cresce nello sport la domanda di conoscenze specifiche, di accompagnamento psicologico, come aumenta il bisogno di piccole e medie strutture, di organizzazione efficiente.

Se la nostra attenzione privilegia la figura del “dirigente cristiano”, nello sforzo di evidenziare le sue specifiche caratteristiche, è perché si nota che su di lui si moltiplicano le attese e si allargano le responsabilità connesse, sia in ambito associativo che in ambito ecclesiale.

Sport, tra individualismo, deriva vitalistica e impresa

Val bene annotare brevemente e succintamente alcuni elementi della situazione corrente dello sport. La fase attuale manifesta una tendenza in “movimento” con punte di ambiguità preoccupanti. Siamo nella piena bagarre individualista, vitalista e commerciale. Questi caratteri appaiono montanti e pervasivi ed esprimono un processo

socio-culturale a forte caratterizzazione soggettivistica e privatistica. La tendenza in atto va presa in grande e responsabile considerazione sia perché rivela bisogni e domande diffuse e sia perché denota un dominio commerciale che veicola interessi, scelte ideologiche, occupazione totalitaria del tempo libero.

Secondo un’indagine della Camera di Commercio di Milano, le imprese che si occupano di sport in Italia sono aumentate, negli ultimi quattro anni, del 26% (da 9.955 a 12.583) e gli impianti sportivi sono cresciuti del 29,4% (cfr. Il Sole 24 Ore – Sport, n. 6/ottobre 2005) e attualmente sono 148.800 (uno ogni 3000 abitanti circa) secondo le rilevazioni del CNEL.

L’indice di tendenza in aumento delle imprese private è spiegato in questi termini: “C’è una crescita dell’area fitness-wellness, una crescita delle attività di gestione delle strutture dedicate allo sport, ma si tratta di realtà destrutturate, cioè non inserite in realtà quali le federazioni o altre organizzazioni. Ciò non significa che l’attività sportiva strutturata e finalizzata all’agonismo sia in crisi, ma che si possa parlare di un’esplosione delle attività collegate allo star bene” (R. Ghiretti, responsabile di “Studio Ghiretti”).

Ora, non bisogna demonizzare queste tendenze, ma operare un serio discernimento. Se il CONI si preoccupa e corre ai ripari istituendo uno Sportello ad hoc con una scelta di programmazione e di concertazione siglata da un Protocollo (29 settembre 2005) con l’UPI, ANCI e le Regioni, significa che un tale sviluppo della pratica sportiva, fuori dai controlli federali e dagli Enti locali, non sempre produce effetti positivi per un autentico accrescimento della persona. Fate conto se non dobbiamo farcene carico noi!

Essere cristiani nello sport

Nell’affrontare il tema proposto si affollano molte domande, ad esempio: Come rispondere alle tendenze e alle emergenze attuali dello sport? Con quali strumenti e proposte concrete? Con quali progetti socio-educativi aderenti alla domanda differenziata di sport e con quali metodologie? I cristiani hanno qualcosa di specifico da offrire? L’associazione sportiva di ispirazione cristiana come si muove e come è presente nel movimento creato dallo sport?

1. Partirò da una premessa decisiva che formulo così: i dirigenti laici sportivi cristiani fondano il loro servizio sull’ opzione oggettiva e determinante della fede. Questa opzione qualifica in modo chiaro il loro impegno sociale. Non si tratta di dedurre immediatamente dalla fede i modelli di attività, ma che sia la fede ad ispirare l’attività, ad infondere una qualità specifica e visibile alle scelte anche sportive. Sotto questo profilo, il punto di partenza e la motivazione di fondo dell’impegno non possono ammettere incertezze, diversamente si rischiano fraintendimenti, conflitti di coscienza, logoramenti rispetto alla primigenia intenzionalità educativa cristiana.

2. La consapevole adesione e l’approfondimento dell’identità cristiana, che è un bene inestimabile, portano alla testimonianza dei valori cristiani nel proprio ambiente di lavoro, di famiglia, di attività di tempo libero e di sport. Se l’opzione di fede è autentica e matura non esistono differenze di luoghi, di circostanze, di persone, tali da giustificare la dimenticanza o l’accantonamento delle personali convinzioni interiori. Esse mantengono una rilevanza e producono una risonanza dovunque ci si trovi a vivere, a progettare, ad organizzare, a costruire una realtà di gruppo che sia profondamente motivata e trasparente rispetto ai fini da raggiungere.

3. La ricorrente scissione tra fede e impegno nel mondo ha provocato quel fenomeno chiamato laicizzazione o secolarizzazione, dove appunto nella visione globale della vita viene a mancare qualsiasi riferimento alla trascendenza e al fine ultimo dell’uomo. Il processo indotto diventa tanto più rischioso in quanto, smantellando i principi fondativi della fede e della morale, svaluta la vita e la riduce a pura funzione biologica, psichica, economica, edonistica. Come è stato scritto: “se la vita non reca più il sigillo del sacro la si butta via appena non serve più” e si perde in tal modo la sua assoluta dignità. Si abolisce nell’uomo la sua integrità e la sua finalità.

4. Ora il vero sportivo cristiano non si imbarca in operazioni che distruggono l’uomo ancora prima che possa affermare qualcosa delle sue qualità fisico-atletiche, della sua forza e della sua abilità. Che senso avrebbe la fatica di condurre una persona alla scoperta e alla valorizzazione delle sue risorse corporee ed intellettive se questo sforzo non fosse concatenato ad un centro di unità che esprime, significa e unifica tutto l’uomo? In fondo il dirigente, l’accompagnatore, l’allenatore agiscono come interpreti complessivi dell’uomo per la sua promozione totalee dunque sono chiamati a esplicitare tutte le dimensioni della personalità dei ragazzi e dei giovani in vista del loro futuro.

Di conseguenza l’ “essere cristiani”, non essendo un optional ma una scelta di vita e di campo, caratterizza in modo evidente l’impegno da parte del dirigente nel particolare ambito dello sport e ne manifesta tutte le conseguenze pratiche che rivelano una vita virtuosa, trasparente e gioiosa.

Confrontarsi da cristiani nello sport

1. Alla necessità di rendersi conto delle tendenze socio-culturali della società occorre farvi fronte con adeguate attenzioni, con sollecite iniziative di carattere spirituale e formativo, con illuminate avvertenze sui pericoli insiti in certe ideologie consumistiche. Allora si comprende che, se si è vuoti di valori e se l’impegno si basa e si ferma al puro schema sportivo, alla materialità dell’organizzazione, alla conoscenza tecnica dei gesti sportivi, non può condursi a buon fine la costruzione dell’uomo, ragazzo, giovane o adulto o vecchio che sia.

D’altra parte se la testimonianza non si evidenzia con forza persuasiva non si porterà un vero contributo alla edificazione di una società in grado di creare condizioni di vita non solo migliori, ma profondamente segnate e illuminate dalla fede.

2. Occorre dunque confrontarsi da cristiani anche nel mondo sportivo e vedere come incarnare la fede negli ambiti sociali di impegno per aprire vie ad un futuro cristianamente qualificato e dotato di quei valori forti che sostengono una convivenza più umana e più rispettosa dei diritti e dei doveri di tutti. E’ stato detto che lo sport è una “scuola di vita”, una palestra di virtù e di autentica umanizzazione.

Questo è verissimo, ma per noi lo sport diventa anche una esperienza di comunione e di fraternità, di solidarietà effettiva, di conquista di quei valori enunciati dalle beatitudini evangeliche: la pazienza, la mitezza, la magnanimità, la lungimiranza, la povertà, il dono di sé. Dunque lo sport diventa occasione propizia per un itinerario ascetico-mistico.

3. Se la secolarizzazione della società pone problemi al mondo sportivo è perchè tende a materializzare lo sviluppo delle risorse fisiche e psichiche, ad incanalare l’esercizio sportivo nel soddisfacimento puramente edonistico e competitivo nel voler sempre e comunque condizionare lo sport al denaro. Per farvi fronte diventa improcrastinabile l’elaborazione di una cultura dello sport fondata sui valori umanistici e spirituali da inserire nei dinamismi strutturali della persona, della società in genere e delle istituzioni sportive.

In tale progetto non può essere estranea l’ispirazione della fede. Essa è forza trainante ed efficace per riuscire ad incarnare nella prassi sociale dello sport diverse attitudini e differenti idalità più rispondenti alla concezione dell’uomo e al suo sviluppo: si tratta di dare corpo alla visione dello sport nella prospettiva di autentico sviluppo della persona. Ciò non esclude l’efficienza e l’impresa ma che siano coerenti con i principi.

Sei puntate di sport

Compito specifico dei laici impegnati

Con intelligenza e coraggio dobbiamo accogliere l’invito a declinare la scelta cristiana con l’impegno nello sport, in particolare sotto due rilevanti profili di valore.

1. Il primo: risulta evidente il significato del connubio etica e sport se lo si confronta con gli obiettivi veri e perenni dello sport. Lo sport non è un idolo cui asservirsi ma è un valore a servizio dello sviluppo dell’uomo creato e redento. Lo sport non deve condurre ad un edonismo sfrenato e totalizzante, ma serve all’elevazione di tutto l’uomo attraverso il costante sforzo per il continuo superamento di sé, per ritrovare il meglio di sé.

2. Il secondo: l’autentico sviluppo dell’uomo, valido anche per l’uomo-sportivo, si attua nel quadro della solidarietà e della libertà e nel rispetto dell’ordine della verità e del bene. Qui si configura il culmine dei valori orientativi e la somma degli obiettivi anche nelle attività sportive. Solidarietà, libertà, verità e bene definiscono un punto di riferimento ideale cui attenersi con ogni sforzo possibile e sul quale esaminarsi con assiduità.

I due profili indicano il compito che riguarda i laici sportivi impegnati nell’ambito della Chiesa. In forza della loro vocazione battesimale sono direttamente responsabili e protagonisti della continuità dell’opera creativa di Dio nel particolare mondo dello sport e della esplicitazione delle potenzialità iscritte nella natura umana.

Come insegna san Leone Magno: «Per l’unità della fede e del battesimo c’è fra noi una comunione indissolubile sulla base di una comune dignità. Lo afferma l’apostolo Pietro: “Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt 2,5). Tutti quelli che sono rinati in Cristo conseguono dignità regale per il segno della croce. Con l’unzione dello Spirito Santo poi sono consacrati sacerdoti. Tutti i cristiani sono rivestiti di un carisma spirituale e soprannaturale che li rende partecipi della stirpe regale e dell’ufficio sacerdotale. Non è forse funzione regale il fatto che un’anima, sottomessa a Dio, governi il suo corpo? Non è forse funzione sacerdotale consacrare al Signore una coscienza pura e offrirgli sull’altare del cuore i sacrifici immacolati del nostro culto? Per grazia di Dio queste funzioni sono comuni a tutti»

Conseguentemente i laici cristiani sportivi attraverso la loro competenza e la loro professionalità, esercitate sotto l’ispirazione cristiana, realizzano quel contesto specifico entro cui si dispiega l’attività sportiva che risalterà perchè capace di promuovere tutte le virtualità dell’uomo, tutte le risorse della comunità, tutte le opportunità di collaborazione con altri organismi e con le istituzioni, a servizio esclusivo del “bene” della persona.

Domanda di senso e sport

Nella prospettiva delineata il tema “Essere cristiani nel mondo sportivo” si presenta assai provocatorio e affascinante per un dirigente sportivo. Nonostante se ne parli da sempre, se il tema viene riproposto significa che risponde a delle effettive domande, a delle profonde esigenze di specchiata coerenza. Soprattutto una domanda emerge sopra le altre: come dare senso cristiano allo sport. E’ la domanda mai del tutto esplicitata che coglie la necessaria relazione dello sport con il compito della salvezza personale. Tale “salvezza” va intesa evidentemente come dono che viene dall’Alto che si realizza nello sviluppo integrale della persona e nella sua finalità ultima.

1. La questione, anche se antica, si intreccia oggi nella novità della diffusa richiesta di sport. L’estensione massiva del desiderio di sport sta a segnalare un fatto nuovo con il quale bisogna fare i conti, cioè l’emergere della soggettività personale. Qui osserviamo un fenomeno inedito che si lega inscindibilmente con la riscoperta della corporeità come espressione vivente ed avvolgente di sé, in particolare come “luogo” in cui lo sport si attua.

2. La novità sta nell’esperienza viva del “corpo” e della sua rilevanza nell’universo dei significati della vita. E dunque tocca anche la questione finale della salvezza dell’uomo. In questa considerazione il corpo non è un’appendice, una marginalità, un peso da sopportare, ma una rivelazione, un luogo potenziale ad alto indice di mutazione e di indicazione: è un linguaggio da interpretare secondo bisogni e attese; esprime autoaffermazione e relazione, conoscenza del mondo e richiamo ad altro, quasi una profezia.

Il corpo rimanda ad una finalità più alta, trasfigurata da una potenza che viene dall’esterno: la glorificazione del corpo per via partecipativa alla gloria del “corpo di Cristo risorto”. Il corpo diventa segno della creazione in atto ed esigenza di sviluppo in una traiettoria che realizza, forse più inconsciamente che consapevolmente, un progetto: il progetto di Dio sull’uomo.

3. Perciò in un quadro di valori legato e determinato dalla concezione del corpo, come avvenimento imprenscindibile nella definizione della personale esistenza nell’ambito sociale e nello spazio dell’autocoscienza, lo sport assume una dimensione psicologica e spirituale importante. Tende ad essere lo strumento per antonomasia idoneo al fine: quello di esibire un corpo in condizioni ottimali, nella perfetta estensione delle possibilità fisico-psichico-spirituali. Oggi si manifesta la tendenza per uno sport a fini non soltanto agonistici, atletici, motori, ma estetici, sensitivi, quasi mistici.

Si tende ad un’attività sportiva multipla che privilegia l’effetto, l’emotività, la performance personale, l’equiparazione al modello-carismatico alla ribalta. Lo sport, davvero più che mai, è “metafora della vita”, simbolo di esigenze che lo superano. Dunque garantisce la possibilità di operare un “salto di qualità”, di valore aggiunto, in favore della rivelazione della “gloria di Dio” che è appunto espressa nell’ “uomo vivente” (cfr. Sant’Ireneo).

I criteri di valore nello sport

Cerchiamo di vedere insieme alcune identificazioni che ci permettano di ricavare un profilo generale dello sport considerato come evento nel quadro di una psicologia dinamica della persona, in vista di un’educazione integrale attraverso lo sport. Per riconoscere puntualmente i “valori” messi nel circuito vitale dell’attività sportiva, li presenterò nella dialettica dei loro contrari: in tal modo sarà più facile cogliere il rilievo degli uni rispetto al rilievo degli altri, secondo una linea interpretativa di complementarietà.

1. Potenza e impotenza. Nello sport si evidenzia la dialettica potenza/impotenza, come fonte di sfida con sè stessi e con gli altri, come codice rivelativo di un ordine superiore all’uomo stesso. Accogliere la sfida e attestarsi al codice statutario dell’essere uomo rappresenta i parametri entro cui misurare la validità e il limite dell’attività sportiva.

Dire che lo sport serve l’uomo nella sua crescita e nel raggiungimento della sua perfezione significa imprimere al tempo sportivo una caratura di valore che lo rende determinante. Ma perchè non sia sopraffatto dalla retorica e da una enfatizzazione fuorviante è necessario delimitarne i confini entro la dialettica potenza/impotenza.

Tale dialettica distingue il massimo delle risorse che un uomo tiene in serbo al modo di un cumulatore dinamico e il minimo estremo dell’efficienza, cioè il riconoscere la propria finitezza, la misura di sè ultimativa. Da qui nasce l’esigente applicazione pedagogica di educare e educarsi alla conoscenza e alla padronanza di sé: è quel particolare atteggiamento interiore ed esteriore che i pedagogisti chiamano “autoperfezionamento attraverso lo sport”.

Il principio suggerisce l’allestimento di “capacità introspettive, di estro ed inventiva, per trovare la via, anche stilistica, con cui dare espressione alla propria originalità. Ogni vero sportivo non si esaurisce nella assolutezza metrico-temporale della prestazione, ma ad essa associa il raggiungimento di traguardi interiori strettamente personali”. Perciò anche la percezione della propria incapacità o impotenza, lungi dal provocare crisi di identità e sfiguramenti di sè, aiuta ad accettarsi nelle misure reali del proprio essere e della distanza/vicinanza con gli altri.

2. Creatività e accidia. Nello sport si evidenzia la creatività in contrapposizione all’accidia. Conosciamo bene tutta la letteratura al riguardo e non mi soffermo in considerazioni descrittive. Solo il richiamo ci garantisce dal rischio di essere in qualche modo astratti e ripetitivi.

E’ ormai di dominio comune la convinzione che la funzione ludica nell’uomo non scatena soltanto la competizione e il massimo rendimento personale ma pone in esercizio le facoltà fantastico-creative, le invenzioni della libertà psico-motoria, le opportunità organizzative, la voglia di divertirsi come espressione dell’Homo ludens e come liberazione dell’asservimento alle logiche del professionismo, del campionismo, del tecnicismo.

Perciò si comprende come in una corretta visione dello sport, la moltiforme attività sportiva serva da poderoso antidoto alle devianze non solo giovanili, alle vuote ore del tempo del non lavoro, e alla stessa piaga della disoccupazione. Qui si ripropone il tema forte dei valori morali dello sport e della loro concreta attuazione, della loro efficacia nella costruzione-formazione dell’uomo integrale.

La gioia genuina che lo sport praticato suscita non si scontra con una vita morale consapevole e matura, anzi ne valorizza appieno la forza e la stabilità, rimediando a possibili ricadute nell’ozio, nella noia e nell’accidia.

3. Gratuità e possesso. Lo sport esalta un altro principio della pedagogia umanistica che è la gratuità. L’essere gratuito implica la non-economicità, la completa inutilità rispetto agli interessi, di qualsiasi genere, in quanto rivela la più alta espressione del dono, del servizio, della solidarietà, della promozione dell’uomo. L’esatto contrario della grauità è il possesso. La gratuità discende da Dio perchè fa parte dell’amore e perchè rivela la struttura dell’essere di Dio e dell’uomo “fatto a sua immagine”. Il possesso sale dall’uomo come forma di potenza e di contrapposizione con i suoi simili, creando contrasti, lotte, ingiustizie.

Nella dimensione sportiva, la gratuità si riferisce al valore della corporeità, strettamente congiunto al valore dell’interiorità personale, dell’amicizia, della magnanimità. Queste sono di fatto le virtù proprie dello sportivo, poste a corollario della gratuità e sua concreta esplicitazione.

4. Spiritualità e materialità. Non esiste migliore opportunità di mettere alla prova l’unità psicosomatica dell’uomo come nell’attività sportiva. La forte tentazione nello sport è quella di elidere o l’una o l’altra delle parti (anima-corpo, spirito-materia) praticandolo come se l’uomo fosse dimezzato.

Qui si tratta di recuperare non solo la teologia del corpo, ma l’intera spiritualità dell’atto umano attraversato dall’avvenimento della redenzione e abitato dalla presenza della Trinità. Scrive Didimo di Alessandria: “Come un vaso d’argilla il corpo umano ha bisogno per prima cosa di venir purificato dall’acqua, quindi di essere reso saldo e perfetto per mezzo del fuoco spirituale cioè di Dio che è fuoco divorante. Poi deve raccogliere in sé lo Spirito Santo, dal quale riceve la sua perfezione e da cui viene rinnovato” (Didimo di Alessandria, “Sulla Trinità”, Lib. 2,12; PG 39, 667674).

Il rischio del dominio della materialità porta a trasformare lo sport in “res”, una cosa da usare e dunque priva di valore autonomo, causando una deriva di cui si conoscono tutte le nefande conseguenze.

Sintesi conclusiva: la figura del Dirigente sportivo

Nel contesto delineato di valori dinamici, il dirigente sportivo assume una valenza di grande significato sia per la sua esperienza personale sia per la sua qualità nel dedicarsi alla causa dei ragazzi e dei giovani: in lui avviene la sintesi teorica e pratica dei valori cristiani.

Lo sport, infatti, evidenzia il ruolo del dirigente come leader che esercita un enorme influsso e determina nella concretezza il progetto sport nella sua globalità. Egli appare come il maestro di vita che sapientemente guida verso i veri traguardi finali, attraverso il “traguardo intermedio”. Su questa persona cade la più urgente attenzione: vale la pena di metterla al centro degli sforzi più costosi per qualificarne le esigenze, per promuoverne la preparazione, per valorizzarne la competenza, la professionalità, la disponibilità, la virtuosità, il legame con il territorio, con la comunità, con la scuola, con le istituzioni, con gli altri organismi impegnati nel sociale.

E’ necessario che i dirigenti siano coinvolti costantemente nel progetto sport, non come operatori passivi, come esecutori esterni, ma come “imprenditori alti dello sport”. Si tratta di una consapevolezza che si sviluppa nel delineare il senso vero della identità del dirigente come genialità capace di assemblare idee e proposte, prassi e iniziative. I dirigenti sportivi, ben motivati e preparati, con le debite mediazioni, sono pronti a rispondere alle domande poste in precedenza in termini di strategia di ascolto, di comprensione delle sollecitazioni culturali che salgono dalla mutazione sociale, di testimonianza cristiana e di convinta partecipazione ecclesiale.

Si può ben dire che quanto più il dirigente è nel mezzo della socialità ed è ben equipaggiato di ingredienti culturali e tecnico-organizzativi, tanto più deve essere ricco di eticità cristiana, in modo che sappia operare a tutto campo con abilità, efficienza, determinazione e creatività. Di conseguenza diventerà “testimone di integrazione tra fede e vita”, capace di armonizzare i valori creduti con la passione educativa, la coerenza morale con la pratica sportiva, la donazione nel volontariato con l’esemplarità del suo servizio alla causa dei ragazzi.

Per chi si impegna nell’associazionismo sportivo di ispirazione cristiana, con animo retto e generoso e con l’intelligenza sostenuta dalla fede, non troverà impossibile disegnare, in un progetto di umanesimo sportivo, il ruolo di dirigente che realizzi la pienezza delle qualità dell’uomo e la pienezza delle qualità del cristiano, in una sintesi armonica e felice.

NOTE

[1] Cfr. J.Card. Ratzinger, in Avvenire (11 marzo 1988)
[2] Commissione Ecclesiale per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport, Nota pastorale “Sport e vita cristiana” (1995), nn. 33-34.
[3] Cfr. San Leone Magno, Discorsi, 4.1-2.
[4] Cfr. S.S.Acquaviva, In principio era il corpo, Roma, 1977, e S.Spinsanti, Il corpo nella cultura contemporanea, Brescia, 1983, pp. 151-153.
[5] Cfr. C.Perucci, Per una pedagogia totale e personalistica, in Il traguardo intermedio (a cura di B.De Marchi), Milano, 1977, pp. 82-90.
[6] Idem, p. 87.
[7] Come annota il Card. Ratzinger, l’uomo ha bisogno dell’ethos per essere se stesso e non gli è permesso vivere bene senza il sostegno di una significante moralità (cfr. art. cit.).
[8] Cfr. AA.VV., Il traguardo intermedio, Milano, 1977.
[9] Cfr. Nota past, “Sport e vita cristiana”, n. 51.

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